Lo sguardo critico





Autore: John Chamberlain
Nome opera: Senza titolo
Anno: 1965
Parola chiave: Assemblaggio 

John Chamberlain, da molti considerato il Pollock della scultura era famoso soprattutto per le sculture dinamiche, dai colori vibranti, realizzate con parti di automobili schiacciate, contorte e piegate. Ispirato dall'espressionismo astratto, l'artista era un pioniere nell'uso dei materiali industriali e del colore. Chamberlain in questa opera come in tutte le altre usa colori non rifiniti e i bordi frastagliati per operare uno spontaneo processo di improvvisazione. Così facendo, riproduceva in tre dimensioni le pennellate istintive e gestuali dell'espressionismo astratto. 
Allo stesso tempo rifiutava la ricerca di significati ulteriori legati alla scelta dei materiali, per molti le sue opere evocavano violenti incidenti stradali, lui invece chiedeva agli spettatori di osservare le sue opere liberi da ogni pregiudizio, e di farsi guidare semplicemente dal gioco estetico, ora astrato ora lirico. Ed è proprio questo senso di interrogazione e di liberazione della mente che ci colpisce di più nelle sue opere insieme alla grande capacità di prendere un oggetto che in sé ha già una suo funzionalità in alcuni casi persa riuscendo a dargliene una nuova.




Autore
: Frank Gehry


Nome operaCasa a Santa Monica
Anno: 1978
Parola chiave: Collage

Molto interessante è come Gehry elabora la sua casa, che a prima vista sembra un collage cubista, che riflette l’idea di “cheapscape”, parola chiave che descrive il tema in cui si imbatte nelle sue opere, che vede nell'assemblaggio di scarti, oggetti abbandonati, materiali poveri ed industriali, la nuova immagine del territorio. Lo scenario urbano, marginale e stilisticamente uniforme e “anonimo”, in cui è collocata la casa e il momento storico in cui è stata costruita la rende un’esperienza di svolta, di negazione che risalta tra le altre abitazioni e che richiama l’attenzione dei passanti quasi a voler creare un museo di vecchi oggetti e un invito a fermarsi non solo a livello spaziale, ma anche concettuale. Guardando questa opera infatti ci si sente quasi obbligati a esaminarla con uno sguardo diverso e sicuramente più critico. A prima vista sembra una casa non finita o un opera d’arte cubista, con la scomposizione di oggetti semplici e la sovrapposizione di più e diverse vedute secondo angoli visuali differenti. Sembra quasi che Gehry voglia esprimere con la sua casa la sua personalità e la sua idea di arte e architettura creando un collage di oggetti, pannelli, reti, cubi vetrati e mattoni intonacati che nell'insieme suscitano sullo spettatore disturbo e quasi caos ma danno un immagine di realtà pop, quotidiana e povera. La casa sembra inglobata in un contenitore metallico e sbucciata in maniera quasi irregolare lasciando elementi, molto semplici e architettonicamente insoliti, a vista come chiodi, listelli di legno, pannelli di latta e reti metalliche. I muri e i tetti inclinati creano false prospettive e danno la sensazione di non riuscire a cogliere d’impatto l’opera nel suo insieme, ma piuttosto come somma delle varie parti andando a spostare continuamente il nostro sguardo per cogliere nuovi particolari e elementi a sorpresa. Ed è proprio sulla sorpresa, sull'effetto del non-finito, del non percepibile a prima vista, del non strutturato e del “diverso” che la trasformazione di questa casa crea ammirazione per chi la guarda. 



A cura di Agnese Bernabè e Giorgia Caporaso 

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